Storie di riscatto sociale e di bontà.

Spesso quando si parla di detenuti non si pensa quasi mai alla loro storia umana, ma esclusivamente al reato commesso, come se la loro intera esistenza fosse per sempre legata alla loro pena.

La più grande sfida della società contemporanea è andare oltre questo luogo comune, trasformando le carceri in luoghi inclusivi dove i detenuti possano essere aiutati e rieducati ad essere “buoni cittadini”.

Esistono tanti strumenti per raggiungere l’obiettivo di reinserimento sociale. Tra i vari progetti portati avanti in Italia mi ha molto colpito l’esperienza di Silvia Polleri, un’imprenditrice dal cuore grande che recentemente ho avuto il piacere di incontrare InGalera, il ristorante che ha creato all’interno del carcere di Bollate a Milano.

L’obiettivo è dare ai detenuti che ci lavorano la possibilità di ritornare nella società con la “patente” e la dignità del cittadino che rispetta le regole. I risultati del carcere di Bollate ad oggi sono strabilianti: una recidiva del 17% rispetto alla media nazionale del 70%.

Ma la strada per colmare il divario che separa il nostro mondo dal loro è ancora molto lunga, come mi spiega durante l’intervista Silvia Polleri.

Il detenuto non è il suo reato che cammina, il detenuto è una persona e poi c’è il reato che ha commesso. La società non è ancora pronta ad accogliere persone che hanno fatto un percorso all’interno di un istituto penitenziario. Tutti abbiamo paura di ciò che non conosciamo.

Il ristorante diventa luogo di rieducazione.

Creare un ristorante di qualità all’interno di un carcere ad alcuni può sembrare un’idea assurda, ma dopo averci pranzato o cenato vi assicuro che cambierete immediatamente opinione.  Perché InGalera non è solo un ristorante, ma “il ristorante del carcere più stellato d’Italia”, che unisce la città con il mondo del carcere. Un posto bello e accogliente, dove assaporare piccoli bocconi di libertà e incontrare persone gentili e simpatiche come il signor Davide, cuoco eccezionale, e Massimo l’impeccabile maître di sala.

Come mi ha spiegato Silvia, l’idea di questa esperienza di “contaminazione sociale” è nata ancor prima del locale: 

siamo andati nelle banche persino con i rapinatori…. Entravano per la prima volta in una banca con la livrea, i guanti bianchi e un vassoio di bigné e pasticcini, anziché kalashnikov.

Nonna Galeotta nel bronx della città.

Silvia ha sempre amato cucinare, lo faceva sin da quando aveva 12 anni. Dopo aver insegnato nelle scuole delle zone disagiate di Milano, che chiama il Bronx, aprì un catering per la borghesia milanese fino a portare il bon ton in galera con questo ristorante dove il cibo è di ottima qualità e i piatti sono serviti sotto enormi poster dei film più famosi della storia della detenzione, come “Le ali della libertà”, “Il miglio verde” o “Fuga da Alcatraz”. Per non parlare della carta dei vini, assortita con rossi d’eccezione, come “Il Galeotto, “Il Ricercato” e “Il Birbante”.

In carcere tutti chiamano Silvia “Nonna Galeotta”, anche se tale appellativo non rende giustizia all’incredibile energia da ventenne che sprigiona mentre parla del suo progetto.

Nessun uomo è un’isola.

Lo ha capito anche mio padre, ex ambasciatore e volontario a Regina Coeli, che ogni giorno andava a parlare con i detenuti cercando di dare loro speranza. Ricordo con ammirazione il suo impegno per loro attraverso attività “nobilitanti”, come il concorso letterario organizzato a sue spese per raccogliere all’interno di una pubblicazione i loro pensieri e versi sull’isolamento e sulla detenzione. 

Testi impregnati di tanta sofferenza e solitudine, ma anche del forte desiderio di cambiare vita e di percorrere una strada migliore.

Mio padre aveva un sogno: istituire come in Francia la festa del buon ladrone, a dimostrazione che per tutti esiste la possibilità di riscatto, perché per lui ogni uomo, per l’amore di Dio vivente e operante in lui come in ogni altro essere umano, non è solo, ma è parte di tutta l’umanità. 

Quel sogno forse un giorno diventerà realtà, proprio grazie a progetti come quelli portati avanti da Silvia Polleri.

Questo weekend godiamoci un pò di sana evasione.

C’è una frase di Gandhi a cui sono molto legato, perché esprime in modo autentico il valore delle esperienze di rieducazione e di inclusione sociale portate avanti nel carcere di Bollate e di Regina Coeli: 

Non vale la pena avere la libertà, se questo non implica avere la libertà di sbagliare.

È con questo messaggio inclusivo che desidero lanciare un FRAday diverso, condividendo l’impegno di chi, come mio padre, ha scelto di essere accanto a chi ha sbagliato. Se siete interessati, su Instagram e Facebook pubblicherò i testi, le poesie e i pensieri dei detenuti che ha seguito nel corso di una vita.

Godetevi la vostra libertà, oggi è FRAday!